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La Nuova Proprietà di Charles A. Reich

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Reich, Charles A.. La nuova proprietà : Traduzione e introduzione di Francesco D'Urso, G. Giappichelli Editore,
 2014. ProQuest Ebook Central, http://ebookcentral.proquest.com/lib/biblioucv/detail.action?docID=2097658.
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Biblioteca di studi giuridici politici e sociali
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Charles A. Reich
La nuova proprietà
Traduzione e introduzione di
Francesco D’Urso
G. Giappichelli Editore – Torino
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Titolo originale:
Charles A. Reich, The New Property, 73 Yale Law Journal, 1964, 733-787.
Traduzione di: Francesco D’Urso.
© Copyright 2014 - G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO
VIA PO 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX: 011-81.25.100
http://www.giappichelli.it
ISBN/EAN 978-88-348-7949-8
Stampa: Stampatre s.r.l. - Torino
Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun 
volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, 
commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633.
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munque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica 
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sito web www.clearedi.org.
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INTRODUZIONE 
1. L’idea di una ‘nuova proprietà’ 
L’articolo che Charles A. Reich pubblicò nell’aprile del 
1964 sul Yale Law Journal, con il semplice ma emblematico 
titolo The New Property 1, ha costituito, nel corso degli anni, 
un frequente e quasi inevitabile punto di confronto per di-
verse generazioni di studiosi americani: sia per coloro che si 
sono direttamente impegnati nella ridefinizione dei termini e 
dei caratteri della proprietà contemporanea, sia per coloro – 
e forse soprattutto per questi – che si sono invece occupati di 
welfare state e della tutela dei diritti sociali nel sistema costi-
tuzionale statunitense 2. Senza dimenticare, inoltre, l’impatto 
che la sua visione ha avuto sulla giurisprudenza americana al 
punto da favorire una ricollocazione del confine tra il legit-
timo perseguimento degli interessi privati e l’esercizio dei 
pubblici poteri 3. 
La forte sensibilità verso il tema e la fortuna che il suo scrit-
to ebbe nel corso degli anni spinsero Reich a ritornare sull’ar-
 
 
 
1 C.A. REICH, The New Property, in Yale Law Journal, 73, 1964, pp. 733-
787. 
2 Tra i vari percorsi rammentiamo soprattutto B.A. ACKERMAN, Private 
Property and the Constitution, New Haven-London 1977. 
3 Sul punto cfr. R.H. NELSON, Private Rights to Government Actions: 
How Modern Property Rights Evolve, in University of Illinois Law Review, 2, 
1986, pp. 361-386; F.R. SHAPIRO, The Most-Cited Law Articles, in California 
Law Review, 73, 1985, p. 1540 ss.; ID., The Most-Cited Law Articles Revisit-
ed, in Chicago-Kent Law Review, 71, 1996, p. 751 ss. 
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La nuova proprietà VI 
gomento venticinque anni più tardi, con un altrettanto volu-
minoso saggio-appendice 4. 
In verità il grimaldello della new property rappresenta soltan-
to una delle possibili risposte che, soprattutto nei decenni Ses-
santa-Settanta del secolo scorso, si è cercato di dare davanti 
all’avanzata delle istanze sociali e alla crisi di un modello pro-
prietario non più in grado, nella sua tradizionale formulazione 
liberale, di reggere all’urto di un sistema economico-sociale così 
radicalmente trasformato. Quella di Reich, in un certo senso, è 
l’opzione del ‘giurista’ al cospetto di un’ampia serie di ipotesi 
teoretiche avanzate prevalentemente da parte degli ‘economisti’. 
Tra le alternative di maggior successo e di più forte impatto 
nella letteratura di quegli anni, infatti, non possiamo non men-
zionare il noto saggio di Ronald Coase – The Problem of Social 
Cost 5 – di quattro anni precedente l’articolo di Reich, nel qua-
le si afferma diffusamente la necessità di valutare i termini e i 
limiti dell’esercizio del diritto di proprietà rispetto alla miglio-
re efficienza economica che da esso ne derivi. Ispirata al ‘teo-
rema di Coase’ si è sviluppata, poi, una scuola di pensiero, eti-
chettabile genericamente con l’espressione economic analysis 
of law, che ha cavalcato, con diverse articolazioni, i principi 
basilari del ragionamento dell’economista inglese 6. 
Sul tema proprietario, tra i contributi più rilevanti, ri-
cordiamo un articolo del ’67 di Harold Demesetz – Toward 
a Theory of Property Rights 7 – nonché uno studio di Guido 
Calabresi (firmato insieme a Douglas Melamed) – Property 
Rules, Liability Rules, and Inalienability 8. 
 
 
 
4 C.A. REICH, The New Property After 25 Years, in University of San 
Francisco Law Review, 24, 1990, pp. 223-271. 
5 R.H. COASE, The Probem of Social Cost, in The Journal of Law and 
Economics, 1960, 3, pp. 1-44. 
6 Sull’analisi economica del diritto cfr. P. CHIASSONI, Law and Econo-
mics. L’analisi economica del diritto negli Stati Uniti, Torino 1992. 
7 Cfr. H. DEMESETZ, Toward of Theory of Property Rights, in The Ameri-
can Economic Review, 1967, 57, pp. 347-359. 
8 Cfr. G. CALABRESI-A.D. MELAMED, Property Rules, Liability Rules, and 
 
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Introduzione VII
Demesetz si concentra, principalmente, sulla connessione 
tra i cambiamenti delle condizioni economiche e la continua 
emersione del diritto di proprietà all’interno delle sue dinami-
che: in particolare, partendo da una definizione del concetto e 
del ruolo della proprietà, egli utilizza l’archetipo della land 
ownership, estendendolo ancheal fenomeno delle corporations, 
per mostrare in quale maniera le esigenze di ottimizzazione 
economica delle risorse porti naturalmente ad una ‘fusione’ di 
beni (coalescing) nelle mani di un unico centro di potere e ge-
stione 9. 
Calabresi, invece, affronta il problema di fondo dell’attri-
buzione dell’entitlement (titolarità) – che deve seguire criteri 
dell’efficienza economica, degli obiettivi distributivi e, in via 
residuale, di altre ragioni di giustizia – e dei mezzi idonei alla 
sua tutela – seguendo ‘regole di proprietà’ (tipiche dell’eco-
nomia di mercato), ‘regole di responsabilità’ (peculiari di 
un’economia mista), o il principio dell’inalienabilità (caratteri-
stico dell’economia di Stato) 10. 
Tornando a Reich, gli obiettivi del saggio sono espressa-
mente dichiarati: definizione della natura degli interventi stata-
li a sostegno di persone fisiche e imprese, analisi del sistema 
giuridico da esse generato, valutazione del complicato rappor-
to tra ‘proprietà’ e ‘interesse pubblico’, descrizione della rin-
novata e possibile dimensione individualistica. 
Nel profondo, però, l’intero discorso reichiano è lunga-
mente percorso e pervaso da una vasta serie di punti di con-
nessione con le problematiche più ampie e complesse che 
hanno agitato la riflessione filosofico-giuridica (ed anche poli-
tico-economica) tra la metà degli anni sessanta e, soprattutto 
poi, l’inizio degli anni settanta. In particolare, il nucleo del-
 
 
 
Inalienability: One View of the Cathedral, in Harvard Law Review, 85, 1972, 
pp. 1089-1128. 
9 Cfr. H. DEMESETZ, Toward of Theory of Property Rights, cit., p. 354 ss. 
10 Cfr. G. CALABRESI-A.D. MELAMED, Property Rules, Liability Rules, 
and Inalienability, cit., pp. 1089-110. 
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La nuova proprietà VIII
l’articolo è occupato da un’apprezzabile e originale ricostru-
zione del rinnovato rapporto tra individuo e Stato. Di fronte al 
mutamento paradigmatico del secondo, con l’affermazione di 
un sempre più capillare sistema di welfare, Reich si interroga 
sul modo in cui gli individui possono ottenere la conservazio-
ne delle prerogative giuridiche liberali e, a un tempo, estende-
re, mediante lo schema proprietario, quella porzione di perso-
nalità inviolabile e inaccessibile all’intervento dei pubblici po-
teri. 
Perciò, le sue ragioni, i suoi orientamenti e le sue conclu-
sioni toccano, direttamente o indirettamente, la questione del-
la ridefinizione dei valori fondanti del pensiero giusfilosofico 
moderno, nonché quella della loro ineludibile interrelazione. 
Libertà, uguaglianza e giustizia sono i principi basilari, i 
concetti-chiave, i topoi ideologici con i quali la new property 
deve fare i conti, le tre fiere che si interpongono nell’acciden-
tato itinerario teorico che l’allora giovane giurista di Yale in-
traprende e percorre. 
Se volessimo individuare, però, la pietra angolare dell’in-
tero lavoro di Reich, più che alla locuzione ‘new property’, che 
compare – come un’esortazione estrema – solo alla fine del suo 
ricco percorso argomentativo, bisognerebbe riferirsi al lemma 
largess (o ancora meglio all’espressione government largess). 
Traducibile letteralmente in ‘elargizione’ 11, nel vocabolario di 
Reich esso comprende una variegata ed eterogenea serie di at-
tribuzioni e servizi che lo Stato, attraverso i suoi enti e a tutti i 
livelli, garantisce a persone fisiche e giuridiche in possesso di 
determinati requisiti e al fine di soddisfare bisogni e interessi 
ritenuti politicamente meritevoli di ottenere un pubblico so-
stegno finanziario. Detto in una sola parola, le largess accolgo-
no sotto la loro egida, tutte le prestazioni che il welfare state, 
in particolar modo quello statunitense, contempla ed esegue. 
 
 
 
11 Cfr. S. RODOTÀ, La logica proprietaria tra schemi ricostruttivi e interessi 
reali, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 5-6 
(1976-77). Itinerari moderni della proprietà, II, Milano 1976, p. 882. 
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Introduzione IX 
Tuttavia, però, la connotazione semantica di largess non va 
interpretata in modo rigido o statico, ma va piuttosto intesa in 
maniera fluida e dinamica. Soprattutto in chiave giuridica, essa 
subisce un’assoluta metamorfosi tale da consentirgli di incar-
nare, a un tempo, pars destruens e pars costruens, i termini del-
l’analisi e lo scopo della critica. 
Reich parte dalla presupposta separazione tra proprietà e ric-
chezza: una separazione volta non tanto a decretare, empirica-
mente, il corto circuito tra la gestione economica e la titolarità 
giuridica dei beni – come alcuni decenni prima avevano già no-
toriamente sostenuto Berle e Means 12 – quanto a distinguere due 
sfere concettuali, due diversi ambiti di appartenenza. La ricchez-
za ha una natura convenzionale e trae il suo valore (d’uso ma so-
prattutto di scambio) dalla struttura sociale di riferimento; la 
proprietà, viceversa, ha una natura puramente giuridica e, come 
istituto, ha un’origine eminentemente positiva 13. Tracciati i due 
poli, è chiaro il percorso che Reich assegna alle largess, alla loro 
considerazione nel dibattito politico, alla loro qualificazione dal 
punto di vista giuridico. Ciò che egli predica, fondamentalmen-
te, è un cambio di atteggiamento che consenta di oltrepassare la 
tipizzazione tradizionalmente attribuita alle largess – in particola-
re, basata sul principio di gratuità, sulla loro equiparazione a un 
privilegio e sul carattere autonomo delle loro procedure di asse-
gnazione o revoca – per giungere ad una definiva e piena affer-
mazione della loro fisionomia di right ed alla possibilità che, in 
qualsiasi sede giurisdizionale, possano essere taken seriously. 
In tal senso, in Reich è presente un’idea non dissimile da 
quella dworkiniana secondo cui i diritti riguardano la sfera in-
dividuale e che la loro tutela si eserciti, in prevalenza, ‘contro 
lo Stato’ 14: ciò che li divide, piuttosto, è la dimensione ‘natura-
 
 
 
12 Cfr. A.A. BERLE-G.C. MEANS, Società per azioni e proprietà privata, 
trad. it., Torino 1966. 
13 Cfr. infra, p. 12. 
14 Cfr. G. REBUFFA, Una teoria liberale dei diritti nel declino del Welfare 
State, in R. DWORKIN, I diritti presi sul serio, trad. it., Bologna 1982, p. 17. 
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La nuova proprietà X
le’ in cui Dworkin li considera, differentemente da Reich che 
mira di storicizzarli ed emanciparli. Mentre, infatti, nel primo i 
diritti costituiscono un presupposto necessario e inevitabile 
onde costruire una determinata teoria giuridica 15, nel secondo 
il riconoscimento di una nuova forma di proprietà può avveni-
re soltanto in una temporalità storica che contempli la possibi-
lità di allargamento dei confini pregressi e, dunque, la loro 
continua ri-affermazione. 
In definitiva, comunque, nella ricostruzione reichiana, è il 
tema della ‘gratuità’ a diventare il perno da cui si sviluppano le 
due questioni centralicirca la descrizione della ‘nuova pro-
prietà’: da un lato, infatti, giace la problematica sostanziale, 
ossia il tentativo di elevare a rango costituzionale la tutela e il 
riconoscimento dei diritti di welfare; dall’altro, poi, la questio-
ne procedurale, strettamente connessa alla prima, ossia la de-
finizione dei principi-cardine dell’azione amministrativa nei 
casi di costituzione, modificazione ed estinzione delle misure 
concesse. 
2. La questione sostanziale: da privilege a right 
Prima ancora di affrontare il nodo centrale del tema, ovve-
ro il rapporto tra principi costituzionali e legislazione, un pri-
mo interessante approccio che Reich adotta concerne il pecu-
liare modo di intendere la relazione tra pubblico e privato. 
Dalla sua ridefinizione è possibile cogliere un coerente filo lo-
gico che conduce linearmente il giurista ad allentare i confini 
 
 
 
15 Una teoria basata sul comune riconoscimento di un concetto di ugua-
glianza che sia il presupposto delle scelte politiche e delle decisioni giudizia-
rie all’interno di una democrazia costituzionale: “L’istituzione dei diritti è 
perciò cruciale perché rappresenta la promessa della maggioranza alla mino-
ranza che la sua dignità e eguaglianza saranno rispettate” (cfr. R. DWORKIN, 
I diritti presi sul serio, cit., p. 292). Sul punto pure cfr. G. BONGIOVANNI, La 
teoria “costituzionalistica” del diritto di Ronald Dworkin, in G. ZANETTI (a 
cura), Filosofi del diritto contemporanei, Introduzione di Carla Faralli, Mila-
no 1999, pp. 248-149. 
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Introduzione XI 
della proprietà tradizionale, fino al punto di far assorbire, al-
l’interno di essa, l’intera congerie delle largess. Nello specifico, 
egli parte da una singola interpretazione della ‘funzione pub-
blica’ secondo la quale qualsiasi posizione, ruolo o compito so-
ciale – giuridicamente istituiti, riconosciuti o tutelati – può es-
sere ricompresa in essa. Per Reich l’appaltatore pubblico, il 
tassista, il medico e perfino la madre di un bambino sono tutti 
depositari di un ‘ufficio’ pubblico, con maggiore o minore li-
bertà e responsabilità, mediante una diretta o indiretta delega 
che l’ente-Stato ad essi attribuisce 16. Alla base di una così radi-
cale posizione affiora un’idea di Stato estremamente densa. 
Questo viene percepito come uno spazio politico pieno, com-
pleto ed inclusivo all’esterno del quale è impossibile pensare 
qualsiasi forma di socialità giuridificata o giuridificabile. 
Tale pregiudizio per lo Stato accompagna, in sottofondo, 
tutta la riflessione di Reich – anche oltre i saggi dedicati alla 
property 17. Un pregiudizio che si rileva come quello strascico 
pesante che, nella mente del giurista, era stato generato dalla 
cupa e controversa stagione del maccartismo, periodo nel qua-
le le esigenze della pubblica sicurezza e la tutela dei diritti sog-
gettivi erano state drammaticamente in conflitto 18. Una diffi-
denza che diventa quasi una ‘ossessione’, culminando nella 
nozione di public interest state. 
Reich, infatti, distingue il public interest – fisiologica espres-
sione dell’interesse generale o, in una accezione più larga, del 
bene comune tout court – dal public interest state – la sua pato-
logica degenerazione che, malgrado non sia definito del tutto 
chiaramente, finisce per essere identificato con un esercizio au-
to-referenziale e arbitrario del potere pubblico volto al perse-
guimento di dubbie finalità politiche o, ancor peggio orientato 
 
 
 
16 Cfr. infra, pp. 24-25. 
17 Su tutti si pensi a C.A. REICH, The Law of the Planned Society, in Yale 
Law Journal, Vol. 75, 1966, pp. 1226-1270. 
18 Sul punto cfr. C.A. REICH, The New Property After 25 Years, cit., pp. 
231-234. 
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La nuova proprietà XII 
alla protezione o al raggiungimento di utili particolari, di gruppi 
dominanti che siano in grado di influenzare e dirigere l’attività 
dell’amministrazione pubblica, dei suoi enti e delle sue agen-
zie 19. Dietro la sua apparentemente nobile facciata, in altre pa-
role, si nasconde l’esigenza e il desiderio di creare o tutelare 
monopoli e oligopoli attraverso una latente e inaccettabile com-
penetrazione – e perfino, in alcuni casi, coincidenza – tra ‘con-
trollori’ e ‘controllati’, tra organi presupposti garanti e società 
private, possibili destinatari di aiuti pubblici di varia natura. 
Ma il passaggio al public interest state, oltre a rappresentare 
un efficace spauracchio, un luogo figurato verso il quale la so-
cietà contemporanea è pericolosamente indirizzata, costituisce 
l’effetto maggiore di quella progressiva e crescente dipendenza 
dei singoli – privati e imprese – verso le largess, di quello spo-
stamento del baricentro di benessere e ricchezza dagli indivi-
dui allo Stato. 
Questa trasformazione dei rapporti materiali avrebbe una 
sua inevitabile ricaduta sulla sfera giuridica dei consociati che, 
a difesa dei propri indispensabili benefici, sono spesso costret-
ti a dover barattare gli interventi statali a loro favore con l’e-
sercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti. 
Ciò che in particolare si sottolinea, rispetto al rapporto tra 
diritti fondamentali e benefici sociali, è il fatto che spesso gli 
individui, per poter espletare le facoltà e i poteri che la Costi-
tuzione riconosce loro, devono – indirettamente – rinunciare 
all’acquisizione o al mantenimento delle largess pubbliche. Le 
condizioni a cui gli enti e le agenzie governative sottopongono 
i soggetti beneficiari costituiscono, di fatto, una richiesta di 
abbandono dei propri diritti. 
Questo tipo di dinamiche porta Reich a considerare la so-
cietà del XX secolo ineluttabilmente proiettata verso la piena 
affermazione del public interest state, come una forma di neo-
feudalesimo 20. Tale affermazione ha una duplice funzione: da 
 
 
 
19 Cfr. infra, p. 45. 
20 Cfr. ivi, p. 65 e ss. 
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Introduzione XIII
un lato, gli consente di evidenziare l’erosione subita dai diritti 
soggettivi e, dunque, la crisi di una modernità giuridica, di 
stampo liberale, che si vuole in qualche modo preservare; dal-
l’altro, gli fornisce quell’idealtipo assai congeniale all’elabora-
zione di una rudimentale filosofia della storia che attesti la ci-
clica e continua emancipazione dell’individuo dallo Stato me-
diante lo strumento proprietario. 
Se si leggono con attenzione gli otto punti con i quali ven-
gono riassunte le caratteristiche di questo sistema neo-feudale, 
si trovano in essi una serie di elementi che dimostrano l’im-
plosione di un modello di Stato e, con questo, di un intero e-
quilibrio tra i poteri volto a garantire l’autonomia e l’indipen-
denza del cittadino 21. In particolare, il sorgere di legislazioni e 
giurisdizioni speciali nonché la detenzione vincolata delle nuo-
ve forme di ricchezza che l’amministrazione pubblica elargisce 
rappresenterebbero gli aspetti fondamentali di un ritorno ad 
una relazione Stato-individuo,in cui il secondo, privato di 
ogni pieno diritto, ridiventa il mero concessionario del primo. 
Questa condizione spinge Reich ad ipotizzare, allora, l’in-
nesco di un nuovo processo di appropriazione da parte dell’in-
dividuo, che abbia come oggetto non più vita, libertà e beni, 
ma proprio le governement largess. La new property, pertanto, 
prima ancora che definire i caratteri di un nuovo istituto, de-
scrive lo sviluppo di un metodo, l’applicazione di un criterio, 
la formazione di un fenomeno sociale che – si badi bene – nel-
la visione del giurista non si affianca parallelamente alle vec-
chie forme di possesso, ma tende piuttosto ad assorbirle pro-
gressivamente, fino a sostituirle del tutto. 
‘Nuova proprietà’ significa, in somma, ripensare una cate-
goria giuridica alla luce della contingente e mutata percezione 
della dialettica tra il potere pubblico e gli interessi individuali. 
Un ripensamento che ha come presupposto la contrapposizio-
ne tra società/Stato e proprietà. Tale contrasto e, soprattutto, 
tale sovrapposizione terminologica di Stato e società, in questo 
 
 
 
21 Cfr. ivi, p. 68. 
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frangente, non vanno lette come una generica o distratta indi-
cazione di massima, ma come un preciso richiamo ad un at-
teggiamento, teoretico ed ideologico, che Reich critica aspra-
mente in quanto causa principale del ridimensionamento del-
l’individuo nella realtà giuridica dei suoi anni. 
La traumatica esperienza della crisi del ’29 aveva persuaso 
una quota consistente dell’opinione pubblica, del mondo della 
politica e di una parte egemone della dottrina economica e 
giuridica del fatto che il ‘privato’ rappresentasse un pericolo 
costante, se non un vero e proprio nemico, della società e della 
sua struttura. Tuttavia, sul piano materiale, i tentativi di argi-
nare le derive egoistiche che le politiche liberiste – vero impu-
tato degli anni della Grande Depressione – avevano favorito, si 
erano limitati, osserva il giurista americano, a trasferire i poteri 
di amministrazione, indirizzo e controllo delle scelte economi-
che dalla società allo Stato. Da qui deriva la tendenza ad iden-
tificarli e a considerarli, su piano meramente teorico, termini 
parimenti dicotomici rispetto all’individuo. 
Il ricorso alla property, in verità, nel perseguire l’assi-
milazione dei servizi del welfare ai diritti, cela un’ulteriore 
difficoltà che la proposta di Reich cerca coraggiosamente di 
aggirare: l’assenza, nel Bill of Rights, di qualsiasi menzione 
ai c.d. diritti sociali. Diversamente dalle costituzioni euro-
pee – specie quelle adottate nel secolo scorso – quella ame-
ricana, come noto, non contempla in alcun articolo, sezione 
o emendamento un richiamo ai diritti di welfare. Questa 
peculiarità di un testo, frutto di una Weltanschauung libera-
le prevalente e dominante nella cultura politica del XVIII 
secolo nell’area d’influenza anglosassone, determina, ancora 
nel Novecento, un diverso, e forse anacronistico, avvicina-
mento degli studiosi tanto al tema dei social rights quanto a 
quello della proprietà. 
Se, infatti, il dibattito europeo è stato caratterizzato – so-
prattutto a cavallo tra il secolo XIX e il secolo XX, con l’e-
mergere delle ‘questione sociale’ – da una revisione del Rechts-
staat ottocentesco, dal riconoscimento di una nuova genera-
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Introduzione XV
zione di diritti da aggiungere a quelli sanciti nelle varie codi-
ficazioni civilistiche e, di contro, ad una riqualificazione della 
proprietà medesima di fronte all’affermazione di una dimen-
sione giuridica non più declinabile soltanto nell’alveo del 
contesto individualistico-borghese, quello d’oltreoceano ha 
avuto un differente sviluppo. 
Più concretamente, se, ad esempio, ripercorriamo le tappe 
della discussione sulla proprietà che ha contrassegnato i primi 
decenni del Novecento in Italia e i risultati dottrinari raggiunti 
nella ricerca americana sul medesimo tema e negli stessi anni, ci 
troviamo di fronte ad un approccio al tema diametralmente op-
posto. In Italia, pur avendo mantenuto formalmente invariato 
l’istituto privatistico codificato, il confronto tra filosofi e giuristi 
ha prodotto il riconoscimento della funzione sociale della pro-
prietà 22; negli Stati Uniti, una volta decretata la separazione tra 
proprietà e controllo della ricchezza, attraverso soprattutto l’o-
pzione reichiana, si è tentato di procedere in una direzione qua-
si speculare, provando ossia ad estendere la sfera d’influenza 
proprietaria ai diritti di welfare. In sintesi possiamo dire che nel 
primo caso si è cercato di ‘socializzare’ la proprietà, nel secondo 
di ‘privatizzare’ i diritti sociali. 
3. La questione formale: natura e limiti dei procedimenti 
amministrativi 
Il passaggio al public interest state, osservato non più dall’an-
golazione dell’individuo ma dalla prospettiva dello Stato, de-
termina un corrispondente aumento dei poteri pubblici, del lo-
ro ambito di influenza, dei soggetti titolari e della loro capacità 
decisionale. In particolare, uno dei punti più delicati concerne 
la facoltà, riposta in un arcipelago di enti e agenzie pubbliche, 
di assegnare, negare o revocare la miriade di largess che l’ammi-
 
 
 
22 Sul dibattito italiano rimando ad un mio recente lavoro; cfr. F. DURSO, 
La proprietà. Un dibattito di primo Novecento, Napoli 2012. 
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nistrazione provvede a concedere e riconoscere. L’occhio di 
Reich è dunque particolarmente attento sia all’iter formativo dei 
procedimenti amministrativi – ai principi che lo guidano e alle 
prassi che ne consolidano le scelte – sia, soprattutto, all’esercizio 
del potere sanzionatorio da parte degli organi di controllo. 
Una prima considerazione da fare concerne quella correla-
zione che il giurista americano coglie tra l’estensione della base 
giuridica degli interventi della pubblica amministrazione e 
l’ampliamento del ruolo politico che i suoi enti inevitabilmente 
acquistano nel normale svolgimento delle loro funzioni 23. Det-
to diversamente, se il legislatore istituisce nuove norme che of-
frono allo Stato, nelle sue diverse articolazioni, la possibilità di 
introdurre e distribuire forme di benessere o ricchezza che al-
terano la morfologia dell’intera struttura socio-economica di 
una certa area o di un particolare contesto, ciò automatica-
mente incrementa l’opportunità per gli organi preposti a tali 
mansioni di compiere delle scelte di natura politica che esula-
no dalla mera applicazione di norme giuridiche. In una sola 
parola, la questione sollevata è quella della discrezionalità 
dell’amministrazione nell’esercizio delle procedure di assegna-
zione o diniego delle government largess. 
A riguardo, nell’articolo emergono due aspetti interessanti 
in tema di discrezionalità: uno di carattere tecnico-giuridico, 
l’altro di natura politica. 
Quanto al primo, esso concerneproprio il rapporto tra 
produzione normativa e potere discrezionale. Secondo l’ana-
lisi reichiana, infatti, più è vasta la regolamentazione, mag-
giore è la possibilità di sanzionare e di intervenire discrezio-
nalmente sulla vita giuridica. Nel sostenere ciò, il ragiona-
 
 
 
23 Nella sua nota ‘rights thesis’, Dworkin cita espressamente e ripetuta-
mente il problema dei sussidi – in particolar modo quelli all’industria – co-
me esempio cardine della sua argomentazione-madre, definendoli, non solo 
per quanto concerne le scelte di legislazione, ma anche per ciò che riguarda 
la determinazione della casistica giudiziaria, come il frutto di decisioni emi-
nentemente politiche. Sul punto cfr. R. DWORKIN, Casi difficili, in ID., I di-
ritti presi sul serio, cit., pp. 173-174. 
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Introduzione XVII
mento seguito costituisce una possibile variante di quello kel-
seniano, dove la discrezionalità dell’interprete sorge ed au-
menta con la constatazione delle maggiore indeterminatezza 
delle norme adottabili 24: all’impiego di un criterio ‘qualitati-
vo’ dell’analisi delle norme giuridiche Reich preferisce un più 
grezzo, ma tutto sommato utile alla causa, criterio ‘quantita-
tivo’ 25. 
Quanto al secondo, invece, l’elemento critico attiene prin-
cipalmente alla mancanza di indipendenza di agenzie, comitati 
e organi di controllo di varia specie nonché alla quasi totale 
assenza di vincoli normativi chiari che orientino e limitino en-
tro confini certi il loro margine d’azione. Questa lacunosità 
dell’ordinamento fa sì che i funzionari di tali enti, nel perse-
guire scopi politici arbitrariamente individuati o, ancor peggio, 
nel soddisfare interessi particolari di soggetti forti, soprattutto 
se titolari di un potere disciplinare o sanzionatorio, esercitino 
una giurisdizione più restrittiva – se non addirittura in contra-
sto con essa – di quella delle corti di giustizia ordinaria. Dato 
che, infatti, l’oggetto delle loro decisione non è costituito da 
‘diritti’ ma da semplici ‘privilegi’, non sono eccepibili dinanzi 
a loro quelle guarentigie costituzionali che sono, viceversa, un 
 
 
 
24 Cfr. H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, trad. it., Tori-
no ed. 2000, pp. 118-121. 
25 Sul tema, un ulteriore parametro di confronto può essere ancora rap-
presentato dalla ricostruzione dworkiniana. Distinguendo una discrezionali-
tà “in senso debole” – quando presupponiamo l’esistenza di standard a cui il 
public officer è vincolato – e una “in senso forte” – quando presupponiamo 
l’assenza di qualunque standard imposto da un’autorità – Dworkin così con-
clude rispetto all’azione di un giudice: “La discrezionalità di un giudice non 
significa che egli sia libero di decidere senza ricorrere a standards di buon 
senso e giustizia, ma solo che la sua decisione non è controllata da uno stan-
dard fornito dalla particolare autorità che si ha in mente quando affrontiamo 
il problema della discrezionalità”. E dunque “Chi ha discrezionalità in que-
sto terzo significato può essere criticato, ma non per essere stato disobbe-
diente (…) Di lui si può dire che abbia commesso un errore, ma non che 
abbia volto ad una delle parti una decisione alle quali aveva diritto” (cfr. R. 
DWORKIN, Il modello delle regole (I) in ID., I diritti presi sul serio, cit., pp. 
103 e 105). 
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La nuova proprietà XVIII
fondamentale strumento di tutela per gli individui nei processi 
civili e penali. Detto diversamente, l’illecito amministrativo 
può essere sanzionato attraverso procedure che violino siste-
maticamente i principi del due process of law. 
La problematica affrontata, in altri termini, è la stessa che 
Hart solleva in Law, liberty and morality 26, ovvero l’esigenza di 
distinguere il «paternalism» dallo «enforcement of morality», 
il «justifying the practice of punishment» dal «justifying its 
amount», la «private immorality» dalla «public indecency», la 
«preservation of morality» dal «moral conservatism» e, in con-
clusione, «moral populism» e «democracy» 27. Tutti aspetti che 
il giurista inglese riconduce principalmente alla giustizia pena-
le, ma concettualmente estendibili anche (o a maggior ragione) 
al sistema sanzionatorio relativo alle largess. 
In generale, però, bisogna dire che Reich non considera la 
discrezionalità come un male da combattere, ma piuttosto – 
come più avanti vedremo – un principio da mitigare onde ga-
rantire una corretta distribuzione delle largess. Ciò che egli, 
infatti, denuncia è la degenerazione della discrezionalità in ar-
bitrarietà. In questo senso, possiamo osservare che non ven-
gono scisse del tutto le questioni procedurali da quelle sostan-
ziali. L’incertezza e la debolezza dei privati di fronte all’ar-
bitrio della pubblica amministrazione non è un problema che 
investe soltanto la jurisprudence. La negazione o la revoca di 
una largess, in una società complessa fondata su interrelazioni 
di dipendenza reciproca tra ogni consociato, può rappresenta-
re, per l’esistenza di un individuo o di un’impresa, un danno 
ben maggiore di una condanna penale. Un danno che può, nei 
casi più estremi, determinare una vera e propria morte civile. 
L’insistente richiamo di Reich a casi giudiziari concernenti le 
pensioni di vecchiaia, gli appalti alle imprese, le licenze profes-
sionali o i sussidi di disoccupazione contribuiscono a delineare 
uno spaccato di vita reale di una società che, al di là delle agia-
 
 
 
26 H.L.A. HART, Law, liberty and morality, London 1963. 
27 Cfr. op. cit., passim. 
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Introduzione XIX
tezze ostentate, presenta al suo interno una serie di contraddi-
zioni e criticità difficilmente risolvibili attraverso il logorato 
armamentario dogmatico – e ideologico – che una civiltà giu-
ridica di ispirazione liberale ha, nel corso dei secoli, sedimen-
tato nella mente e nell’animo dei suoi interpreti. 
In un certo senso, del resto, neanche Reich sfugge a questo 
imprinting: da giurista positivo quale è, egli confida fermamen-
te nelle garanzie di un due process of law e nella possibilità di 
fornire, grazie ad esso, quella adeguata tutela degli interessi 
particolari del singolo innanzi agli organi di controllo della 
pubblica amministrazione. Nella sua lettura non affiora ancora 
quello scetticismo critico che caratterizzerà, ad esempio, pagi-
ne importanti della ricerca di Dworkin. Un Dworkin che, rife-
rendosi al due process of law e all’equal protection of the law, 
non esita a definirli standard «vaghi», sebbene poi specifichi 
che vanno considerate «vaghe clausole costituzionali» solo «in 
quanto riferentisi ai concetti che impiegano, come legalità, 
uguaglianza e crudeltà» 28. In tal senso, mediante la sua nota 
distinzione tra ‘concetti’ e ‘concezioni’ apre (o chiude …) la 
strada all’intervento sostanziale di legislatore e giudice. For-
mulazioni come due process of law ed equal protection of the 
law possono esseredefinite ‘vaghe’ soltanto se «le consideria-
mo come tentativi parziali o incompleti o schematici per porre 
particolari concezioni» 29; ma se, viceversa, «le consideriamo 
come appelli ai concetti morali non potrebbero essere rese più 
precise, anche se formalmente in modo più dettagliato» 30. 
Malgrado, dunque, in Reich sottigliezze dottrinarie del ge-
nere non siano né presenti né deducibili, si può tranquillamen-
te affermare che la questione del ‘giusto processo’ rimane co-
 
 
 
28 Cfr. R. DWORKIN, Casi Costituzionali, in ID., I diritti presi sul serio, cit., 
pp. 241 e 245. 
29 Cfr. ivi, p. 246. Il corsivo è Nostro. 
30 Ibidem. Non va dimenticato che in Dworkin, del resto, viene meno an-
che la necessità di garanzie processuali come base del liberalismo. A riguar-
do cfr. G. REBUFFA, Una teoria liberale dei diritti nel declino del Welfare Sta-
te, in R. DWORKIN, I diritti presi sul serio, cit., p. 15. 
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La nuova proprietà XX 
munque propedeutica rispetto alla soluzione di contenuto – 
l’individuazione di una new property attraverso una interpreta-
zione estensiva del V Emendamento – che viene pur sempre 
rimessa nelle mani di corti, tribunali e organi giurisdizionali di 
ogni tipo e formazione. 
4. ‘Nuova proprietà’ e distribuzione della ricchezza: il pro-
blema dell’uguaglianza 
Il tema della ‘new property’ paradossalmente, nella rico-
struzione reichiana, pur investendo i diritti sociali, non si im-
batte mai veramente in quello dell’uguaglianza sostanziale. Se, 
come già ricordato, nel contesto europeo, l’affermazione a li-
vello costituzionale di determinati diritti ha pacificamente rap-
presentato lo svolgimento di un principio egualitario nell’alveo 
delle dinamiche socio-economiche, in Reich tali diritti riman-
gono saldamente ancorati all’individuo e, dunque, alla sua li-
bertà e al suo benessere. L’uguaglianza è il grande assente in 
un discorso che, inchiodato ad una prospettiva insistentemen-
te individualistica, resta rigidamente chiuso nel recinto dell’in-
teresse economico privato e della soggettività giuridica. 
Dunque, non è tanto un’esigenza di redistribuzione sociale 
che preme a Reich (e quindi l’aspetto politico-economico), 
quanto piuttosto la necessità di legittimazione giuridica delle 
procedure che ne determinano il riconoscimento e la tutela, 
oltre che il diniego e la revoca. Pertanto se interpretiamo la 
sua analisi con le lenti del ‘filosofo’, troveremo innumerevoli 
criticità, del tutto irrisolvibili all’interno o attraverso il testo; se 
invece lo leggiamo con lo sguardo del ‘giurista’, possiamo co-
gliere limpidamente la ragionevolezza delle esigenze rivendica-
te e dei pericoli paventati. 
In particolare, il limite ‘politico’ della sua lettura appare, in 
verità, il seguente: equiparare i diritti di welfare alla proprietà 
non rappresenta un problema nel momento della acquisizione 
del diritto. Anche la più sacrale delle definizioni proprietarie 
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Introduzione XXI
non implica l’estensione sostanziale di uno ius – in senso hob-
besiano – ma semplicemente la tutela di una situazione pre-
esistente. In altre parole, non si afferma con ciò il diritto ad 
avere diritto – per utilizzare una formula attualmente in voga – 
ma la garanzia di un diritto già acquisito. Il riconoscimento 
non è ex ante ma ovviamente ex post: come la difesa della pro-
prietà non determina la necessità che tutti siano proprietari di 
una certa quantità di beni, così l’eventuale affermazione di un 
identico diritto a qualsiasi largess, non ha l’effetto di attribuire 
ad ogni cittadino una quota minima di welfare. 
Il problema principale di Reich, come visto, non è quello 
delle disuguaglianze, ma quello dell’arbitrio: raramente emer-
ge nel rapporto intersoggettivo – inter homines – ma quasi 
sempre, o in ultima analisi, nella relazione individuo-Stato, 
soggetto privato-pubblico potere. Un problema, quello delle 
disuguaglianze, che è invece in nuce all’analisi di un autore 
come Rawls, soprattutto per quanto concerne la possibilità di 
«organizzare le istituzioni di una democrazia costituzionale» 
sulla base dei suoi due principi di giustizia, ed anche la com-
patibilità delle «quote distributive» che essi determinano con 
«le nozioni di giustizia proprie del senso comune» 31. 
Approfondendo i saggi rawlsiani degli anni sessanta – coevi 
all’indagine di Reich e ‘preparatori’ della sua ‘teoria della giu-
stizia’ – si scorge, in essi, che il legame tra le agencies e il loro 
potere si risolve nella descrizione dei due ‘settori’ (quello «al-
locativo» e quello «per la stabilità») che insieme devono «pre-
servare l’efficienza dell’economia di mercato in generale» con 
la determinazione di un «minimo sociale» 32. Ad essi se ne ag-
 
 
 
31 Cfr. J. RAWLS, Giustizia distributiva, in ID., La giustizia come equità. 
Saggi 1951-1969, a cura di Giampaolo Ferranti, Napoli 1995, p. 195. E più 
avanti così completa: “(…) le disuguaglianze che influiscono sui prospetti di 
vita, per esempio quelle di reddito e ricchezza che esistono tra classi sociali, 
devono essere vantaggiose per tutti” (cfr. ivi, p. 197). 
32 Cfr. J. RAWLS, Giustizia distributiva, cit., p. 207. Quando Rawls parla di 
minimo sociale cerca di definire l’entità secondo i principi di giustizia: un’entità 
che prende corpo col concetto di “tasso di giusto risparmio” (cfr. ivi, p. 217). 
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La nuova proprietà XXII
giungono altri due, quello dei «trasferimenti» e quello «distri-
butivo» che hanno, rispettivamente il compito di garantire «un 
certo livello di benessere» e «una distribuzione appositamente 
giusta di reddito e ricchezza» 33. I primi due hanno, weberia-
namente, un rapporto con l’economia e le sue regole, i secondi 
con la società e i suoi bisogni; i primi seguono principalmente 
l’utilitaristico e ‘paretiano’ «principio di efficienza», i secondi 
il «principio di differenza», creatura tutta rawlsiana, conside-
rato più conforme alle esigenze di compatibilità con i suoi me-
desimi principi di giustizia 34. 
5. Segue: il problema della giustizia 
I due punti su cui, però, l’analisi di Reich e la teoria di Rawls 
si intersecano sono i seguenti. In primo luogo, sulla necessità di 
«costruire e amministrare in modo imparziale un sistema di isti-
tuzioni giusto» 35: un sistema a cui occorre «un funzionamento 
armonioso dei quattro settori di governo» – prima menzionati – 
e l’esistenza di «una procedura tale che la distribuzione effettiva 
della ricchezza, qualunque risulti essere, è giusta» 36. 
In secondo luogo, sull’equiparazione dei beni del welfare a 
quelli tradizionalmente considerati supremi dalle dottrine libe-
 
 
 
33 Cfr. J. RAWLS, Giustizia distributiva, cit., pp. 208-209. 
34 Cfr. J. RAWLS, Giustizia distributiva: alcune aggiunte, in ID., La giusti-
zia come equità, cit., p. 234 ss. 
35 Cfr. J. RAWLS, Giustizia distributiva, cit., p. 219. 
36 Ibidem. Per Rawlstale procedura – che egli distingue da una ‘perfet-
ta’ che fornisce un “criterio indipendente per decidere quale risultato è 
quello giusto” (cfr. J. RAWLS, Giustizia distributiva, cit., p. 218) ed un’altra 
imperfetta, dalla quale, pur seguendo norme e procedimenti corretti, “si 
può ottenere un risultato ingiusto” (cfr. ibidem) – non può che essere una 
procedura pura, “poiché non c’è alcun criterio indipendente mediante cui 
si può giudicare il risultato” (cfr. J. RAWLS, Giustizia distributiva, cit., p. 
219). Una procedura pura che egli individua nello schema del gioco d’az-
zardo (cfr. ivi, p. 218). 
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Introduzione XXIII
rali: per Rawls, in sintesi, «tra i beni primari vi sono libertà e 
opportunità, reddito e ricchezza, salute e intelligenza» 37. Mentre 
la prima coppia risponde ad un generico principio di uguaglian-
za formale, all’origine delle altre due sussiste una naturale disu-
guaglianza giustificata e ‘corretta’ dal principio di differenza, 
vera chiave di volta dell’intero apparato teoretico rawlsiano 38. 
Il problema della giustizia, relativamente al rapporto tra li-
bertà costituzionali e utilità sociale, è ben presente alla critica 
di Reich quanto a quella di Rawls 39. Se in quest’ultimo si fa 
strada il bisogno di individuare – attraverso la giustizia – quel 
«concetto morale minimale» che in via unica ed esclusiva può 
garantire le libertà – diversamente dall’utilità sociale, nell’auto-
re di Greening of America c’è la consapevolezza di una frattura 
(tra libertà e proprietà) che si vuol sanare mediante un’e-
stensione della seconda che consenta di abbattere il confine 
ideologico tra ‘giusto’ e ‘utile’ 40. Un muro che la teoria di Ra-
wls contribuirà, invece, ad innalzare. 
In Reich, però, la dimensione dello justum è sempre ricon-
 
 
 
37 Cfr. J. RAWLS, Giustizia distributiva: alcune aggiunte, cit., p. 233. 
38 Da qui deriva, in fondo, quello che Rawls definisce “l’ethos di una so-
cietà democratica”, ossia la capacità di anteporre i bisogno “dei meno avvan-
taggiati” con l’obiettivo di “massimizzare le loro prospettiva a lungo termine 
con le libertà di eguale cittadinanza” (cfr. J. RAWLS, Giustizia distributiva, 
cit., p. 225). Sul punto, osserva correttamente Giampaolo Ferranti: “In sin-
tesi, l’applicazione dei principi di giustizia alla struttura fondamentale della 
società e la giustificazione su tale base delle eguali libertà costituzionali con-
figura una distinzione, d’ora in avanti acquisita alla dottrina rawlsiana, tra la 
sfera dell’uguale cittadinanza e la sfera, ad essa subordinata, delle disugua-
glianze economiche e sociali” (cfr. G. FERRANTI, Introduzione a J. RAWLS, La 
giustizia come equità, cit., pp. XXXIV-XXXV). 
39 Scrive Rawls: “Il concetto di giustizia è diverso da quello di utilità so-
ciale per il fatto che la giustizia considera la pluralità delle persone come 
fondamentale, mentre la nozione di utilità sociale no. (…) La concezione 
dell’utilità estende il principio di scelta razionale per una persona al caso di 
una pluralità di persone” (cfr. J. RAWLS, La libertà costituzionale e il concetto 
di giustizia, in ID., La giustizia come equità, cit., p. 139). 
40 Cfr. J. RAWLS, La libertà costituzionale e il concetto di giustizia, cit., p. 
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La nuova proprietà XXIV
ducibile, in ultima analisi, alla questione del public interest e al 
rischio che esso sia, in qualche modo, potenzialmente in con-
flitto con la tutela di posizioni particolari o di gruppo. Nono-
stante, come più volte indicato, la prospettiva reichiana si ali-
menta della dicotomia individuo-Stato, non in tutti i passaggi i 
singoli status corrispondono all’esercizio di un interesse sog-
gettivo. Talvolta, invece, essi rappresentano la sfera di ricono-
scimento giuridico di un’intera porzione di società, di un de-
terminato settore economico, di una circoscritta collettività 
organizzata. Nondimeno, però, queste forme di soggettività 
diverse dall’individuo finiscono per essere pur sempre imma-
ginate nella loro singolarità, secondo una concezione organi-
camente olistica che non consente di pensare ad una struttura 
sociale composta di ‘corpi intermedi’ capaci, appunto, di ‘me-
diare’ tra individuo e Stato. Per quanto contemplate empiri-
camente nella disamina del contingente, le organizzazioni so-
ciali vengono considerate o come ‘vittime’ dell’incontrastato 
potere dell’amministrazione pubblica, o ‘carnefici’ che annien-
tano i soggetti deboli manipolando, direttamente o indiretta-
mente, gli enti e le agenzie di quella medesima amministrazio-
ne pubblica. 
Da qui deriva l’urgenza di un istituto costituzionalmente 
‘rinforzato’ che, sostituendo gradualmente la proprietà tradi-
zionale, possa garantire protezione all’individuo. Per compiere 
questa svolta tre sono i principi che devono guidare legislazio-
ne, giurisdizione e prassi amministrativa affinché si determini 
una giusta ed equa assegnazione delle largess: il principio di 
pertinenza (relevance), il principio di discrezionalità e quello 
del divieto di delega a privati del controllo e della sommini-
strazione 41. Il primo dovrebbe limitare la possibilità di diniego 
e revoca delle largess alla mera analisi dei requisiti di accesso 
alle medesime; il secondo, invece, dovrebbe vincolare il potere 
sanzionatorio, dei vari organi preposti, alla sola violazione del-
le norme specificamente inerenti e connesse alle prestazioni 
 
 
 
41 Cfr. infra, p. 92 e ss. 
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Introduzione XXV
fornite dallo Stato a vantaggio dei soggetti destinatari; il terzo, 
infine, dovrebbe escludere la possibilità di affidare pubblici 
poteri ad organismi che sarebbero, in principio, privi di qua-
lunque legittimità e incapaci di garantire efficienza e imparzia-
lità. 
Presi nel loro insieme, i tre principi esposti da Reich sem-
brano convergere verso un’idea di riconoscimento giuridico di 
determinate scelte politiche nell’operato degli enti statuali pre-
posti alla produzione, all’esecuzione e all’applicazione di nor-
me, che riflettono l’inestricabile legame tra le ragioni del dirit-
to e i bisogni economici. Lontano dall’idea hartiana di ricono-
scimento, la posizione di Reich appare sospesa tra la prospet-
tiva di Alf Ross – che ne estendeva il raggio d’azione a tutti i 
tribunali 42 – e la visione di Joseph Raz – che invece la limitava 
soltanto agli organi supremi 43. 
6. ‘Nuova proprietà’ e personalità: il problema della libertà 
La già accennata scissione tra proprietà e libertà, in real-
tà, costituisce un momento saliente di un’altra tematica rei-
 
 
 
42 “(…) Il fondamento del sistema giuridico (…) consiste di direttive che 
non concernono direttamente il modo di risolvere una controversia giuridi-
ca, ma indicano il modo secondo il quale il giudice dovrà procedere per sco-
prire la direttiva o le direttive rilevanti per la controversia di cui si tratta. È 
chiaro che questa ideologia puòessere rilevata soltanto nel comportamento 
effettivo dei giudici” (cfr. A. ROSS, Diritto e giustizia, trad. it., Torino 1990, 
pp. 72-73). 
43 “In alcuni sistemi giuridici vi possono essere disposizioni di legge che 
obbligano certi organi ad applicare tutte le disposizioni che adempiono a 
certe condizioni, e può essere che queste disposizioni siano di fatto tutte le 
disposizioni del sistema. Ma anche quando esistono tali disposizioni, il che 
sempre avviene, le disposizioni del sistema appartengono al sistema non a 
causa di queste regole di riconoscimento, ma perché sono riconosciute dagli 
organi primari” (cfr. J. RAZ, Il concetto di sistema giuridico, trad. it, Bologna 
1970, p. 266). 
Sul riconoscimento in Raz e il confronto con Hart e Ross cfr. P. COMAN-
DUCCI, Introduzione a J. RAZ, Il concetto di sistema giuridico, cit., p. 20). 
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La nuova proprietà XXVI
chiana: il rapporto tra personal right e property right 44. Il cor-
to circuito che investe due forme di diritto percepite, da 
sempre, come un’identità indissolubile all’interno della dog-
matica giuridica tradizionale è un’ulteriore prova della crisi 
della proprietà classica, della perdita del suo humus filosofi-
co e della trasformazione che costringerebbe dottrinari e in-
terpreti a decretare la necessità della sua rifondazione. La 
maggiore urgenza derivante da questa certificazione, secon-
do Reich, è dettata proprio dal drastico e repentino impove-
rimento che la tutela della libertà individuale ha subito, so-
prattutto nella vita quotidiana e nell’abituale consolidarsi, 
giorno per giorno, delle prassi sociali. Del resto, osserva il 
giurista americano, il Bill of Rights, con l’intero apparato dei 
suoi principi – compreso quelli del V Emendamento – inter-
viene sporadicamente a difesa della libertà: la proprietà – in-
tesa qui come istituto civilistico di diritto positivo – costitui-
sce la garanzia costante della stessa, la sua costante e ripetu-
ta affermazione 45. 
Nel sostenere questa tesi, Reich, in un certo senso, ci fa ca-
pire che una tutela di rango costituzionale della proprietà è 
sempre prodromica rispetto al regolare riconoscimento del 
mutamento di oggetto – non di natura – dell’istituto proprie-
tario e del suo profilo normativo. Ma ci fa comprendere anche 
un’altra sua importante convinzione: la libertà civile, che si 
realizza attraverso le facoltà, i poteri e le garanzie concesse dal 
diritto privato, rappresenta il presupposto materiale della li-
bertà politica dal momento che essa si dimostra il più efficace e 
comodo strumento di difesa contro lo strapotere della ‘mag-
gioranza’. Una maggioranza che, in ambito giuridico piuttosto 
che politico, è sempre raffigurabile con quell’ambiguo bino-
mio di società e Stato. 
 
 
 
44 Sul tema proprietà-libertà Reich torna spesso, in particolare in un sag-
gio del 1990; cfr. C.A. REICH, The liberty impact of the New Property, in Wil-
liam and Mary Law Review, vol. 32, 1990, pp. 295-306. 
45 Cfr. infra, p. 72. 
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Introduzione XXVII
In questo tratto del discorso, Reich fonde l’originaria e loc-
kiana visione liberale del diritto con una preoccupazione tutta 
tocquevilliana circa i ‘pericoli’ di una società democraticamen-
te governata 46; una preoccupazione a cui Reich, però, continua 
a rispondere con il più vetusto – seppur ‘riformato’ – topos 
proprietario. 
Ma se, allora, da un punto di vista oggettivo, soltanto una 
‘nuova proprietà’ può giuridificare nuove tipologie di ricchez-
za e benessere, da un punto di vista soggettivo, il requisito che 
determina l’accesso ai diritti di welfare è costituito dall’acqui-
sizione di uno status. Lo status rappresenta, infatti, l’asse at-
torno al quale ruota il denso coacervo di rivendicazioni indivi-
duali, una volta riconosciuta la natura giuridica delle govern-
ment largess. L’emergere della sua funzione determina implici-
tamente la scomparsa dell’individuo sic et simpliciter, tanto 
nella versione spoglia della filosofia hobbesiana quanto nella 
traduzione lockiana irrobustitasi con il possesso di sé, della 
propria vita e dei propri beni. L’individuo, in sostanza, scom-
pare per far posto ad un soggetto la cui posizione sociale con-
diziona la sua capacità d’accesso ai benefici economici del wel-
fare state. 
In verità, muovere da tale nozione può essere stimata come 
un’operazione efficace, su un piano pratico, ed anche corretta 
da un punto di vista teorico, soltanto se si accetta, però, di ac-
cantonare del tutto le categorie del moderno, rimodulando 
 
 
 
46 Che sarà, ancora una volta, anche il problema di Dworkin: “Se non 
esiste un generale diritto di libertà, perché i cittadini in ogni democrazia 
hanno diritto a qualche specifico tipo di libertà, come la libertà di parola, 
di religione o di attività politica?” (R. DWORKIN, Quale diritto abbiamo?, 
in ID., I diritti presi sul serio, cit., p. 322). Un problema che, diversamente 
da Reich, egli risolverà derivando la libertà dall’uguaglianza: “Propongo 
(…) che i diritti individuali a libertà particolari siano riconosciuti solo 
quando si può dimostrare che il diritto fondamentale al trattamento come 
uguali comporta questi diritti. Se ciò è corretto, allora il diritto a libertà 
particolari non entra in conflitto con ogni concorrente diritto all’ugua-
glianza, ma al contrario scaturisce da un fondamentale concetto di ugua-
glianza” (cfr. ivi, p. 325). 
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La nuova proprietà XXVIII
concetti e schemi appartenenti ad un modus pensandi antico o 
medievale, ovvero – se si vuole – proponendo soluzioni nuove 
che ne segnino intenzionalmente il suo superamento. Mai 
l’idea di status può rappresentare l’apertura verso una visione 
d’insieme che rinverdisca i cardini della modernità giuridica, 
né tanto meno può costituire lo strumento ermeneutico per 
tracciare una coerente e credibile linea di continuità con il 
pensiero tradizionale. Un pensiero e, soprattutto, un’imposta-
zione che Reich, in tanti passaggi cruciali, come appurato, 
sembra voler invece – consapevolmente o inconsciamente – 
conservare e prolungare. 
Nonostante le aporie evidenziate, ciò che in estrema sintesi 
emerge, è che i principi di uguaglianza e giustizia, con la ridu-
zione dei diritti sociali a property, non acquistano mai nell’ar-
gomentare reichiano un ruolo preminente né un proprio e au-
tonomo sviluppo, ma finiscono quasi per diventare meri attri-
buti della libertà, l’unico vero valore che il giurista americano 
persegue in tutta la sua narrazione. 
In Reich si può, dunque, parlare di una libertà ‘giusta’ e, 
ancor più, di una libertà ‘uguale’ 47. 
 
 
Francesco D’Urso 
 
 
 
 
47 Una locuzione, quest’ultima, che dà il titolo ad un interessante volume 
di qualche anno fa di Ian Carter nel quale si affronta, tra gli aspetti principa-
li della discussione teorica in merito alla possibilità di parlare di un diritto 
all’eguale libertà, proprioal nesso esistente con il tema della proprietà priva-
ta; in particolare cfr. I. CARTER, La libertà uguale, Milano 2005, pp. 150-186. 
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NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA 
 
 
 
Charles A. Reich nasce a New York il 20 maggio 1928. Fi-
glio di immigrati (padre ungherese, madre tedesca), dopo la 
scuola superiore frequenta l’Oberlin College, in Ohio, dove si 
laurea in Storia nel 1949. Nello stesso anno viene ammesso alla 
Yale Law School, prima vera svolta della sua vita professiona-
le. A Yale ottiene il Bachelor of Laws nel 1952 e pubblica i suoi 
primi articoli sul Yale Law Journal (Pre-Trial Disclosure in 
Criminal Cases e New York’s New Indeterminate Sentence Law 
for Sex Offenders, entrambi nel 1951). 
Negli anni appena successivi si trasferisce a Washington e 
diventa collaboratore (law clerk) del giudice Hugo L. Black 
della Corte Suprema degli Stati Uniti: un’esperienza decisiva 
per la sua formazione durante la quale, occupandosi in parti-
colar modo del Barsky case (cfr. infra, p. 78 e ss.), sviluppa il 
suo interesse e le sue prime idee sul tema della proprietà. Nel 
1954 si dedica all’avvocatura lavorando presso diversi e impor-
tanti studi legali, ma già nel 1955 riceve l’invito dalla Yale Law 
School ad intraprendere la carriera accademica. 
Dopo cinque anni interlocutori, nel 1960, ritorna a Yale 
dove diventa associate professor of law fino al 1974. Sono gli 
anni più intensi e più fecondi della sua attività scientifica. Ol-
tre al celebre saggio The New Property del ’64, Reich si dedica 
a varie e numerose tematiche. Tra i saggi di maggior interesse, 
sempre pubblicati sul YLJ rammentiamo: The Public and the 
Nation’s Forests (1962), Midnight Welfare Searches and the So-
cial Security Act (1963) e soprattutto Individual Rights and So-
cial Welfare: The Emerging Legal Issues (1965). 
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La nuova proprietà XXX
Nel 1970 dà alla luce il suo lavoro più noto, The Greening 
of America – tradotto in italiano nel 1972 con il titolo La Nuo-
va America (cfr. C.A. REICH, La Nuova America, trad. it., Mi-
lano 1972) – un’ampia, eclettica ed originale descrizione della 
società americana, delle sue differenti problematiche e delle 
sue possibili soluzioni. Il volume, che fonde profili storici, ana-
lisi sociologica e teoria politica, riflette in pieno il clima cultu-
rale del suo tempo al punto da regalargli una fama inaspettata 
e improvvisa, ma, parallelamente, al punto da esporlo alle dure 
critiche – salvo rare ma significative eccezioni – da larga parte 
del mondo accademico. 
L’eco di The Greening America e il conservatorismo crescen-
te nella Yale Law School conducono Reich ad un progressivo 
allontanamento dalla vita universitaria che culmina nell’abban-
dono dell’insegnamento, nel 1974, e nel susseguente trasferi-
mento a San Francisco. Qui compone, nel 1976, il libro auto-
biografico The Sorcerer of Bolinas Reef, testo nel quale i trascor-
si del giurista e studioso si fondono con gli anditi più intimi e 
profondi della sua personalità e della sua esistenza privata. 
Negli anni successivi Reich ritorna sporadicamente a tenere 
corsi universitari. Negli anni ’80 è visiting professor, dapprima 
presso l’University of San Francisco Law School, poi presso 
l’University of California at Santa Barbara. Dal 1991 al 1995, 
per volontà e interessamento dell’amico Guido Calabresi, tor-
na a Yale con un corso intitolato “The Individual Sector”. Al 
termine di quest’ultima esperienza pubblica il saggio Opposing 
the System. 
Vive, tuttora, a San Francisco nel quartiere residenziale di 
Russian Hill. 
Per una dettagliata e completa ricostruzione bio-bibliogra-
fica di Charles A. Reich, in particolare cfr. R.D. CITRON, 
Charles Reich’s Journey From the Yale Law Journal to the New 
York Times Best-Seller List: The Personal History of The 
Greening of America, in New York Law School Law Review, 
52, 2007-08, pp. 387-416. 
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ABBREVIAZIONI 
 
 
 
A. 2d Atlantic Reporter – Second Series 
aff’d (giudizio) confermato 
App. Div. Appellate Division Reports 
App. Div. 2d Appellate Division Reports – Second 
Series 
Atl. Atlantic Reporter 
C. D. Central District 
C. P. Ohio Ohio Courts of Common Pleas 
Cai. R. Caines’ Reports 
Cal. 2d California Reports – Second Series 
Cal. App. 2d Court of Appeal of California Re-
ports – Second Series 
Cal. Bus. & Prof. Code California Business & Professions Code 
Cal. Penal Code California Penal Code 
Cal. Rprt. California Reports 
cert. denied procedimento negato 
cert. granted procedimento ammesso 
Ch. Chapter 
Cir. Circuit Court of Appeals 
Colum. L. Rev. Columbia Law Review 
Cong. Rec. Congressional Records 
Ct. App. Court of Appeal 
Ct. Cl. (United States) Court of Claims 
D. C. District of Columbia ovvero Divi-
sional Court 
D. C. Munic. Ct. App. District of Columbia Municipal Court 
of Appeals 
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La nuova proprietà XXXII 
D. D. C. District of Columbia 
D. Del. District of Delaware 
D. N. J. District of New Jersey 
E. D. Ark. Eastern District of Arkansas 
Encyc. Soc. Sci. Encyclopaedia of the Social Sciences 
F. 2d Federal Reports – Second Series 
F. Supp. Federal Supplement 
Geo. Wash. L. Rev George Washington Law Review 
Harv. L. Rev Harvard Law Review 
Ill. 2d Illinois Reports – Second Series 
In re in materia di 
Kan. Kansas Reports 
L Ed. United States Supreme Court Reports 
– Lawyers’ Edition 
L. J. Rep Law Journal Reports 
Md. Maryland Reports 
Misc. 2d Miscellaneous Reports – Second Se-
ries 
N. E. 2d North Eastern Reporter – Second Se-
ries 
N . J. Stat. Ann. New Jersey Statutes Annotated 
N . J. New Jersey Reports 
N. W. North Western Reporter 
N. W. 2d North Western Reporter – Second 
Series 
N. Y. New York Reports 
N. Y. 2d New York Reports – Second Series 
N. Y. L .J. New York Law Journal 
N. Y. S. 2d New York State Reports – Second 
Series 
N. Y. U. L. Rev. New York University Law Review 
New Jersey Stat. Ann New York Statutes Annotated 
Ohio App Court of Appeal of Ohio Reporters 
P. Pacific Reporter 
P. 2d Pacific Reporter – Second Series 
Pa. Pennsylvania Reports 
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Abbreviazioni XXXIII
Pa. Stat. Ann. Pennsylvania Statutes AnnotatedQ. B. Queen’s Bench 
Race Rel. L. Rep Race Relations Law Reports 
Rev. Stat. Ann Revised Statutes Annotated 
rev’d (giudizio) ribaltato 
rev’d per curia on other grounds (giudizio) ribaltato dalla corte sulla 
base di altri principi 
Rptr. Reports 
S. Ct. Supreme Court (Reporter) 
Sta. L. Rev. Santa Clara Law Review 
Stat. Statutes at Large 
Super. Ct. Supreme Court (Reporter) 
Supp. Supplement 
Tit. Title 
U. C. L. A. L. Rev. UCLA Law Review 
U. Ill. L. F. University of Illinois Law Forum 
U. Pa. L. Rev. University of Pennsylvania Law Re-
view 
U. S. C. United States Code 
U. S. United States Reports 
Va. L. Rev. Virginia Law Review 
vacated (giudizio) annullato 
W. D. Mich. Western District of Michigan 
W. D. Tex. Western District of Texas 
Wash. 2d Washington Reports – Second Series 
Wheat. Wheaton’s Reports 
Wis. Wisconsin Reports 
Wyo. Stat. Wyoming Statutes 
Wyo. Stat. Ann. Wyoming Statutes Annotated 
Yale L. J. Yale Law Journal 
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La nuova proprietà XXXIV 
 
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LA NUOVA PROPRIETÀ * 
 
 
 
L’istituto giuridico della proprietà costituisce il principale 
presidio del problematico confine tra l’individuo e lo Stato. 
Esso non è l’unico custode: molti altri istituti, norme e prassi 
hanno simile destinazione, ma in una società che valorizza so-
prattutto il benessere materiale il potere di controllarne una 
particolare porzione investe il fondamento stesso dell’indivi-
dualismo moderno. 
Negli ultimi dieci anni, tra i fenomeni più importanti verifi-
catisi negli Stati Uniti, si registrano senz’altro l’emersione e lo 
sviluppo di una pubblica amministrazione tramutatasi nel 
maggiore strumento di arricchimento per il paese. Essa è un 
sifone gigante che, da un lato, assorbe risorse accrescendo i 
suoi poteri, dall’altro, distribuisce forme di benessere: assegni, 
indennità, servizi, contratti, concessioni e licenze. Lo Stato ha 
sempre avuto questa funzione, ma se un tempo era assai con-
tenuta, la distribuzione di largess, oggigiorno, avviene su va-
stissima scala. 
I beni dispensati dalla pubblica amministrazione si concre-
tizzano in molte e diverse tipologie, tuttavia congiunte da una 
caratteristica comune: esse stanno prendendo progressivamen-
te il posto delle tradizionali tipologie di beni, ossia quelle for-
me abitualmente considerate e definite come proprietà privata. 
Un’assicurazione sociale può surrogare i risparmi privati; un 
appalto pubblico può sostituire l’intera clientela di un uomo 
d’affari. La ricchezza di un numero sempre crescente di citta-
dini americani dipende da un certo rapporto con la pubblica 
 
 
 
* C.A. REICH, The New Property, 73 Yale L.J. 733 (1964). 
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amministrazione. Sempre più spesso questi soggetti vivono di 
largess, assegnate dagli enti pubblici con criteri propri e man-
tenute dai destinatari a condizione che la loro posizione sia 
tangibilmente congrua al perseguimento dell’“interesse pub-
blico”. 
L’incremento delle largess pubbliche, accompagnato dalla 
formazione di uno specifico e corrispondente ordinamento 
giuridico, sta determinando profonde conseguenze. Esso col-
pisce le certezze dell’individuo, a partire dal principio d’indi-
pendenza, fino poi ad influenzare l’effettivo vigore e funzio-
namento del Bill of Rights. Il suo violento impatto sul robusto 
coacervo degli interessi privati, nella loro reciproca relazione e 
in quella col potere pubblico, sta contribuendo a creare una 
nuova società. 
Il presente articolo, che tenta di esplorare tali cambiamenti, 
propone in primis un esame sulla natura delle largess pubbli-
che. In secondo luogo, prospetta una rivisitazione del sistema 
giuridico, sostanziale e procedurale, che attorno ad esse si è 
generato. In terza istanza, analizza alcuni tra i più rilevanti ef-
fetti per i singoli individui, per gli interessi privati e per la so-
cietà, considerando soprattutto la funzione della proprietà e la 
sua connessione con l’“interesse pubblico”. E, infine, si inter-
roga sul futuro dell’individualismo in questa nuova società che 
sta venendo fuori. L’obiettivo è quello di presentare una pano-
ramica d’assieme che consenta di indagare molte problemati-
che apparentemente disconnesse tra loro. Tale sforzo risulterà, 
inevitabilmente, incompleto e provvisorio. Ma è ormai da tan-
to tempo che abbiamo incominciato a percepire la trasforma-
zione che sta avvenendo intorno a noi. 
 
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I. 
LE GOVERNMENT LARGESS 
A. Le forme di ricchezza di derivazione pubblica 
I beni che derivano dai rapporti con la pubblica ammini-
strazione sono di molti tipi: alcuni riguardano essenzialmente 
le persone, altri concernono imprese e organizzazioni; alcuni 
sono evidenti forme di ricchezza, come i pagamenti diretti in 
denaro, mentre altri, come le concessioni e diritti di franchi-
sing, sono indirettamente valutabili. 
Redditi e indennità. – Per un gran numero di persone lo 
Stato rappresenta una fonte diretta di reddito, anche quando 
non sussiste alcun rapporto d’impiego con esso. Ciò deriva dal 
loro peculiare status giuridico. Esempi a riguardo sono i Social 
Security benefits, le indennità di disoccupazione, gli aiuti per i 
figli a carico, le pensioni dei veterani: in una parola, l’intero 
sistema del welfare, centrale e periferico. Questa variegata ti-
pologia di risorse pubbliche costituisce il principale guadagno 
per un segmento consistente della comunità. Il totale delle 
spese sociali – federali, statali e locali – attualmente, supera i 
70 miliardi di dollari l’anno 1. 
Lavori. – Circa dieci milioni di persone ricevono proventi 
da fondi pubblici perché sono alle dirette dipendenze delle 
amministrazioni federali, statali, o locali 2. La dimensione della 
 
 
 
1 U.S. DEPARTMENT OF COMMERCE, Statistical Abstract of the United 
States, 1963, Tavola 374, p. 283. 
2 Ivi, Tavola 567, p. 435. 
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forza-lavoro impiegata nel pubblico è aumentata costantemen-
te dalla fondazione degli Stati Uniti ad oggi e pare probabile 
che essa continuerà ad aumentare. Se ai tre o quattro milioni 
di persone occupate nelle industrie della Difesa 3 – che esisto-
no

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